di Giorgia Prosperi

Verusca Bandini, Aldo e Giorgia Prosperi il giorno del suo 68º compleanno

Ho conosciuto Aldo quando, quasi ventenne, iniziai a preparare l’esame di storia contemporanea all’università. Ero studentessa di scienze politiche alla Sapienza e mio padre mi consigliò di chiedere un supporto al Maestro Morelli, noto a Montalto come grande conoscitore della materia. Non è stato difficile entrare in contatto con lui: al paese lo conoscevano tutti e la sua consuetudine a dare una mano a chiunque era tale che si mise subito a disposizione. 

In quel periodo stava ristrutturando casa e la prima volta che vi entrai era una specie di cantiere. Ebbi modo, tuttavia, di vedere la vecchia abitazione di famiglia, la parte grande della casa che poi ha venduto, e in cui aveva trascorso tutta la sua vita. Nonostante la trascuratezza propria di una casa che sta per essere rinnovata e che si appresta ad ospitare muratori e manovali, se ne poteva intuire la passata funzione di dimora confortevole di una grande famiglia, con stanze spaziose e numerosi camini, che mi sono rimasti tanto impressi, già allora quasi tutti chiusi. Si capiva bene che quella casa, rispetto a come l’aveva pensata suo nonno, aveva subito molte trasformazioni per adeguarsi alle esigenze delle persone che negli anni l’avevano abitata.

Aldo mi fece visitare il suo studio, come era nella versione originale, con le pareti colorate e la stufa a legna, che sebbene in quel momento fosse già stata portata via, risultava ancora ben visibile nella sagoma stampata sulla parete scurita dal fumo. C’erano pile di libri sparsi ma il grosso di quel “ben di Dio” che era la sua biblioteca era inscatolato, in attesa del fine lavori e del trasferimento nella nuova libreria. 

Proprio quella parte della casa, con la ristrutturazione, venne trasformata in un mini appartamento in cui Aldo ha vissuto gli ultimi anni della sua vita: il luogo dove ho trascorso insieme a lui numerosi pomeriggi di studio, ma anche tante belle chiacchierate, merende e racconti di vita.

All’inizio andavo da Aldo uno o due pomeriggi a settimana; arrivavo con una parte del lavoro svolto a casa e lo condividevo con lui: approfondivamo gli argomenti che avevo studiato, integrando talvolta con altre letture e documenti in suo possesso. Si capiva, ascoltandolo, che la materia lo appassionava moltissimo. Tutto quello che aveva letto della storia del XX secolo si legava fortemente alla sua esperienza personale e la narrazione che ne faceva era una descrizione fatta di immagini e ricordi che rendevano reali e prossimi eventi che sulle pagine del libro sembravano lontanissimi. Il fascismo, la resistenza, il boom economico, gli anni di piombo, la guerra fredda… Aldo li aveva vissuti e sentiti forte sulla sua pelle. Alcuni fatti riguardavano il periodo della sua infanzia o della sua adolescenza ma ne aveva conservato un ricordo così nitido che quando ne parlava sembrava che certe scene e certi personaggi li rivedesse davanti ai suoi occhi. Mi raccontò di quando, nel ’38, a Montalto si attendeva la visita di Benito Mussolini. Aldo era un bambino e quell’evento deve aver rappresentato per lui qualcosa di straordinario; ricordava tutto nei minimi dettagli: la piazza gremita di gente, l’arrivo dell’auto del Marchese Guglielmi, i tentativi di farsi spazio in mezzo alla folla per vedere in faccia quel duce che tutti acclamavano. L’attesa e la preoccupazione di sua madre che non voleva si allontanasse. Con indosso la divisa da Balilla attendeva il passaggio di quell’auto per rivolgere il saluto fascista, così come gli era stato indicato dai più grandi. L’auto passò ma soltanto successivamente si venne a sapere che al posto del duce era stato mandato un sostituto, Starace. Per il piccolo Aldo questo “dettaglio” non cambiava le cose: tutto ciò che era riuscito a vedere erano solo tante gambe che dalla sua prospettiva rappresentavano l’unico panorama visibile.

Nei pomeriggi a casa di Aldo facevamo grandi viaggi da una parte all’altra del globo: partivamo da Londra o da Parigi, passavamo in Asia o nelle Americhe e alla fine arrivavamo sempre a Terravecchia o al massimo in piazza Felice Guglielmi. La storia, in qualche modo, era anche lì, anzi soprattutto lì, nei piccoli luoghi che ospitavano la parte più grande dell’umanità, vittima di eventi astrusi che si consumavano in posti troppo lontani. E a Aldo quella parte interessava più di tutto il resto, quel pezzo di mondo che gli aveva conquistato l’anima e che sentiva la necessità di raccontare e far conoscere. 

All’esame di storia contemporanea ne sono seguiti altri: storia moderna, geografia politica, storia dei trattati e altri ancora. Tutti preparati insieme, con il suo grande contributo in termini di conoscenze e materiale a disposizione, ma anche con la sua grande curiosità e la sua appassionata ricerca di ciò che non conosceva. Abbiamo studiato insieme anche materie meno affascinanti, ma gli interessavano perché così poteva imparare qualcosa in più. Passavo da lui pomeriggi interi, a volte ci andavo anche la mattina. Arrivavo, ci mettevamo a studiare e ad un certo punto facevamo un “piccolo break”, come lo chiamava lui. Pane e prosciutto, pane e mortadella (prosciutto dei poveri, per dirla a modo suo) o capocollo, che prendeva sempre da Tonino. Se era mattina, allora la pizza del Madonnaro. Parlavamo tanto. E ridevamo tanto. Alcuni aneddoti mi fanno ridere ancora ogni volta che ci ripenso. I più simpatici riguardano le sue avventure casalinghe. 

Aldo in cucina era una frana. Gli piaceva tanto mangiare bene quanto poco gli riusciva destreggiarsi tra i fornelli. I suoi pranzi, quando si cucinava da solo, erano diventati una barzelletta. Le uova con le bolle sono diventate un tormentone, perché dopo tanti tentativi non era mai riuscito a cuocerle a maniera. Per non parlare della pastasciutta: lui aveva un sistema tutto suo che consisteva nel tirare fuori la pasta dall’acqua a rate. Le prime forchettate “molto al dente”, quelle intermedie a “giusta cottura”, mentre le ultime sempre scotte. Almeno, diceva lui, la mangiava tutta calda. 

… finalmente la pasta cotta al punto giusto!

Gli piaceva molto prendersi in giro e raccontava le sue imprese con molta autoironia. Mi faceva tanto ridere la grande soddisfazione che provava quando accendeva i termosifoni. Abituato sempre con le stufe o con il camino, non gli pareva vero un sistema di riscaldamento così “sofisticato” da funzionare con un solo click. E allora durante la giornata mi chiedeva in continuazione: “Hai freddo Giorge’ … diamo una sfocatella?” e via che accendeva e spegneva ogni ora quei termosifoni. 

Sul tavolo, tra pile di libri, teneva sempre mezzo limone, che di tanto in tanto usava per rinfrescarsi la bocca, e una confezione di Cebion, l’integratore di vitamina C in compresse effervescenti. Ogni giorno una a lui e una me, era diventato anche quello un “rito”, mi diceva: “Giorge’ … dicono che la vitamina c fa bene. Prendine una pure te!” A me questa cosa piaceva da morire. Abbiamo riso e ci siamo divertiti tanto in quel di Terravecchia. 

E tanto abbiamo costruito. Innanzitutto il mio percorso universitario che è stato arricchito dal sostegno di un uomo di grande cultura e conoscenza. Appena finito un esame, che fosse andato bene o male, telefonavo dalla cabina fuori la facoltà ai miei genitori, a mia nonna e ad Aldo. La soddisfazione o la delusione era la stessa. Allo stesso modo accanto ad Aldo sono cresciuta come persona e come cittadina grazie al confronto critico, aperto e sempre positivo sui moltissimi temi che abbiamo condiviso. Aldo ha stimolato in me la curiosità e la voglia di conoscere al di là del mio mondo, mi ha trasmesso l’interesse per il mio paese e la voglia di fare qualcosa per miglioralo.

È stato per me un grande amico e un grande maestro.

di Giorgia Prosperi